Balneari in alto mare. L’analisi dell’ex presidente Fipe La Spezia Marco Buticchi
L’attuale compagine governativa, in campagna elettorale, si era indistintamente spesa per tutelare la sopravvivenza di 20,000 imprese italiane impegnate nel turismo, ‘petrolio nazionale’. In particolare la Presidente del Consiglio, ancora semplice deputata, aveva perorato in Parlamento la causa delle imprese balneari italiane con una possente requisitoria nella quale aveva sottolineato, punto dopo punto, le sacrosante ragioni di una categoria da anni oggetto di una orchestrata campagna denigratoria. Ogni volta, fateci caso, che si va in aula per decidere del nostro avvenire, spunta qualche reprimenda di un organo europeo che ammonisce la politica italiana, minacciandola. Pena una procedura d’infrazione. Non vi fa pensare a qualche gioco di potere questo spassionato interesse per i nostri litorali? Se la memoria è corta, è sufficiente ricordare quello che accadde in Grecia: fu messa in ginocchio dai potenti europei e lottizzata come un quarto di bue. Per fortuna l’Italia sfugge alla debacle finanziaria da qualche esercizio. Ciononostante, accaparrarsi un mestiere inventato più di un secolo fa dagli imprenditori italiani, fa gola alle multinazionali e a chi riesce a condizionare con i contanti gli indirizzi della politica. Neppure lo spettro della procedura d’infrazione può valere per sostenere la tesi: L’Italia ha, in questo preciso momento, circa novanta procedure d’infrazione di vario ordine (cito solo il bollo auto e le quote latte) e non le ‘dimostra’. Personalmente sono stanco di vedermi infangato da chi non riesce neppure più a mascherare i suoi subdoli interessi. Ho lavorato onestamente nella mia azienda per 40 anni, ammirandola quando cresceva, rallegrandomi quando offriva posti di lavoro e incontrava il consenso di ogni avventore. Mi sono rimboccato le maniche (ieri come oggi), ogni volta che la furia del mare radeva al suolo i miei sforzi. Ma, soprattutto, ho operato con il benestare dello Stato, riconoscendo allo Stato quanto mi chiedeva, osservandone le regole, assumendomi rischi, oneri e responsabilità in sua vece. Senza contare che, ancora oggi, lo Stato ha prorogato con un contratto formale e registrato l’esistenza della mia azienda oltre al 2033.
Chiunque voglia privarmi del frutto di una vita di lavoro sappia che, come nessuno dei miei colleghi, potrà acquisire le nostre strutture, il nostro know-how, i nostri clienti e il nostro avviamento senza colpo ferire. Se la spiaggia brulla che abbiamo ricevuto in affitto dallo Stato interessa ad altri, la procedura dell’‘esproprio proletario’ sfigurerebbe anche nel più rigido Masterplan sovietico. Se non amassi il mio lavoro, la mia gente e i miei avventori in questa maniera, mi sarei già messo a riposo: non è un lavoro facile, privo di rischi o di preoccupazioni. E l’età avanza. Eppure ci ho creduto ogni giorno, investendo ogni mio risparmio. Chi oggi vuole appropriarsi di ciò che abbiamo costruito, lo faccia seguendo delle oneste trattative commerciali: l’arenile appartiene allo stato, ma ogni azienda – piccola o grande che sia – che abbiamo eretto sopra a quanto concesso, è nostra, ha un valore e va valorizzata. Fatevi avanti e troverete chi è pronto a cederla.
Nessuno di noi, operatori balneari, è disposto a tirare a campare e procedere con proroghe a singhiozzo. Il nostro non è un cespite da sottovalutare: grazie al nostro operato, abbiamo contribuito al successo del turismo italiano. Meritiamo rispetto. Servono delle certezze perché un settore – che conta più di centoventimila occupati – possa sopravvivere agli interessi di un’Europa schiava dei potenti. Noi non siamo potenti, ma famiglie che si prendono cura da un secolo delle vacanze nel Bel Paese e questo vorremmo continuare a fare. Se dovesse, invece, prevalere la bieca legge del potere, siamo pronti a resistere con ogni mezzo: nessuno getterebbe mai alle ortiche un’intera vita di lavoro.
Marco Buticchi,
ex presidente Fipe Confcommercio La Spezia