Navigare a vista con mascherina su naso e bocca e una benda sugli occhi. L’intervento del presidente di Federalberghi Marco Pasini
Il Governo e i Comuni (fortunatamente solo alcuni) ci stanno insegnando come gestire un’emergenza senza comprendere le problematiche economiche degli imprenditori che sono la spina dorsale del sistema e, proprio non sapendo gestire questa emergenza perché troppo attenti alle loro casse capiranno a spese loro cosa significa “depressione” non “recessione”.
Gira una vecchia battuta tra gli economisti che dice: “la recessione è quando il tuo vicino perde il lavoro, la depressione è quando tu perdi il lavoro”. Prima della Grande Depressione americana degli anni ‘30, ogni calo nell’attività economica era chiamato “depressione”. Il termine recessione venne coniato proprio in quel periodo, per differenziare la situazione degli anni ‘30 da quella molto meno grave e lunga avuta tra il 1910 e il 1913. La differenza tra questi due termini non è molto chiara perché può variare in base alla teoria economica adottata.
Sinteticamente, gli economisti tramite il NBER (National Bureau of Economic Research), definiscono “recessione” come il periodo nel quale il pil interno lordo (PIL) è accertato in calo consecutivo per più mesi nel corso di un anno considerando il tasso di disoccupazione e variabili fisse, quali: indici di fiducia, variabili reali (come la politica monetaria), indicatori del credito e variabili finanziarie (come curva dei rendimenti, mercato azionario, rischio sul mercato del debito sovrano), oltre a variabili contingenti e, nel caso di epidemia, quelle che vanno valutate in relazione alla situazione socio-economica in atto.
Si entra in “depressione” quando il calo nell’economia vede il PIL diminuire più del 10%. Attualmente, da Goldman Sachs il PIL italiano per il 2020 è stato stimato a meno 11%, salvo nuove manovre che possano far recuperare.
È compito dello Stato, intervenire a supporto di società ed imprese, in un momento storico emergenziale quale quello che stiamo vivendo per evitare il passaggio da un periodo di Recessione ad una fase di Depressione con tutte le conseguenze che ne deriverebbero.
Autorevoli studiosi spiegano che qualsiasi manuale di risk management rileva che la gestione delle crisi funziona se ti sei preparato prima che l’emergenza si verifichi e uno Stato deve avere dei protocolli per le emergenze. Il tanto citato modello coreano, un sistema di risposta rapida basato su test a tappeto e un sofisticato (anche se invasivo) sistema tecnologico di sorveglianza di massa, non è stato improvvisato in pochi giorni: era già pronto e reso noto al mondo.
Dai tempi del coronavirus della Sars, nel 2003, l’Oms esorta i governi a predisporre un piano pandemico. Anche l’Italia ne aveva uno, ma era rimasto in qualche cassetto. La mancanza di protocolli per gestire l’emergenza si è avvertita nella risposta dei sistemi sanitari territoriali: la scelta di chi sottoporre ai tamponi ha seguito le strategie più disparate, talvolta finendo per lasciare senza diagnosi persone con sintomi evidenti e i loro famigliari; i medici di base non sono stati preparati e non hanno ricevuto protezioni adeguate; per molti giorni non si sono allestiti percorsi ospedalieri separati dei pazienti affetti da Covid-19, cosicché gli stessi ospedali sono diventati un focolaio di contagio. L’indisponibilità di un piano strategico ci ha condannato a restare in balia degli eventi. Ci sono voluti medici ed infermieri che come eroi hanno dato la loro vita per salvarne altre.
Fortunatamente, anche grazie a tutte le forze dell’ordine che hanno controllato giorno e notte i territori, i provvedimenti di chiusura delle attività e del movimento della popolazione hanno contenuto il contagio e di conseguenza le morti.
Gli esperti della Harvard Business School indicano nella scarsità di dati affidabili– troppo pochi all’inizio, poco precisi nel seguito – una delle criticità della gestione italiana della crisi.
Non è neppure dato sapere se la task force di esperti che consiglia il Governo disponga di altri dati più affidabili su cui basare le decisioni presenti e future. Se esistono, non vengono condivisi, eludendo il principio della trasparenza; se non esistono, significa che le decisioni sono prese su dati che, nella migliore delle ipotesi, possiamo definire “imperfetti” o irrealmente reali perché non in grado di descrivere la realtà epidemiologica.
Ora, che si comincia a parlare di fase 2 abbiamo una seconda opportunità per impostare la rotta e gestire efficacemente l’uscita dalla crisi, che sarà ancora lunga e complicata. Per riuscirci occorre imparare dagli errori fatti. Più di ogni altra cosa, al Governo serve un piano a lungo termine. E ai cittadini serve sapere che il Governo, un piano, lo ha.
Basta andare avanti con decreti a spot! Occorre un decreto definitivo in materia economica che segua una direzione a favore degli imprenditori.
Quello che gli imprenditori chiedono per sopravvivere è quanto segue:
1) sospensione delle utenze e azzeramento di spese di messa a disposizione energia fino all’apertura;
2) sospensione dei contratti di mutuo per tutto l’anno in corso o fino all’apertura (c.d. moratoria);
3) manleva della responsabilità per colpa dell’imprenditore per eventuali contagi contratti nel corso del rapporto di lavoro da parte dei dipendenti e dei collaboratori, nonostante siano osservate le regole stabilite dal Ministero della Sanità in materia;
4) sospensione del pagamento imposte e tasse relative al reddito d’impresa per tutto il corso del 2020;
5) esclusione, per il periodo di chiusura, dal pagamento di Tari e riduzione pagamento IMU;
Questi semplici provvedimenti farebbero risparmiare allo Stato erogazione diretta di danaro.
Per fermare o ridurre la chiusura delle attività economiche necessitano provvedimenti che prevedano la messa a disposizione di finanziamenti, a tassi ridotti fino ad un massimo del 1% ed istruttoria della pratica gratuita, tramite le banche e con effetto immediato, quindi senza attendere le circolari che le banche mandano alle filiali per l’esecutività e, pertanto mettere a disposizione, già col decreto, i moduli da utilizzare nelle banche.
Lo Stato dovrebbe erogare, immediatamente tramite le banche, finanziamenti a fondo perduto per importi pari al 30% del fatturato dell’anno precedente per quelle attività che aprono.
Senza interventi del genere la Depressione economica sarà garantita e dal navigare a vista si passerà al tragico: si salvi chi può.
Marco Pasini, presidente Federalberghi La Spezia