Una lettura del DEF 2020
Un DEF “non ordinario”
In un tempo eccezionale, anche il Documento di economia e finanza si presenta con un impianto strutturale non ordinario. Infatti, in ragione dell’elevata incertezza degli sviluppi dell’emergenza sanitaria e della connessa emergenza economica e sociale, l’orizzonte previsionale del Programma di Stabilità riguarda il solo biennio 2020-2021 e non si sospinge fino al 2023. Viene, inoltre, posposta la presentazione del Programma Nazionale di Riforma.
Del resto, il riferimento all’eccezionalità di questo tempo ed all’intensità delle sfide che ne derivano risalta fin dall’esordio della premessa del documento a firma del Ministro Gualtieri. Così, dunque, vi si legge: “L’epidemia causata dal nuovo Coronavirus (COVID-19) ha cambiato in modo repentino e drammatico la vita degli italiani e le prospettive economiche del Paese… Da tutto ciò discende che il crollo dell’attività economica che si è registrato soprattutto dall’11 marzo in poi è non solo senza precedenti, ma non verrà recuperato nel breve termine”.
Previsioni
La quantificazione del crollo si concretizza in una previsione di contrazione del PIL 2020 di 8 punti. Essa è l’esito in media d’anno delle previsioni di una caduta di 5 punti nel primo trimestre (rispetto al quarto del 2019) e di 10 punti nel secondo trimestre (rispetto al primo del 2020) seguite da “un rimbalzo del 9,6 per cento nel terzo trimestre e del 3,8 per cento nel quarto…”. Va sottolineato che la previsione è costruita secondo l’ipotesi che – in coerenza con il miglioramento progressivo del quadro epidemiologico – alla parziale ripresa, agli inizi di maggio, di “alcune attività produttive attualmente non autorizzate” faccia seguito il superamento di ulteriori restrizioni fin qui vigenti e che alla ripresa del terzo trimestre 2020 faccia seguito il compiuto esaurimento dell’impatto economico dell’epidemia nel primo trimestre del 2021. In questo scenario, il PIL 2021 registrerebbe un più 4,7 per cento. Un più severo scenario previsionale degli sviluppi dell’epidemia si tradurrebbe, invece, in una caduta del PIL 2020 del 10,6 per cento ed in una previsione del PIL 2021 del più 2,3 per cento.
Le stime sull’andamento del prodotto nel 2020 e nel 2021 incorporano gli effetti del decreto “Cura Italia”, il cui impatto positivo sulla crescita è cifrato in circa mezzo punto di PIL. Esse, invece, non sembrerebbero incorporare apprezzamenti degli effetti dei provvedimenti ulteriori annunciati dallo stesso Documento.
Tali provvedimenti fanno riferimento a:
– “misure urgenti di rilancio economico”, che rendono necessario il ricorso all’autorizzazione parlamentare di “ulteriori 55 miliardi in termini di indebitamento netto (pari a circa 3,3 punti percentuali di PIL) per il 2020 e 24,85 miliardi a valere sul 2021 (1,4 per cento del PIL)”;
– “soppressione degli aumenti dell’IVA e delle accise previsti dalla legislazione vigente per il 2021 e gli anni seguenti”;
– “misure urgenti di semplificazione e crescita” di natura prevalentemente ordinamentale.
IVA, accise e pressione fiscale
Merita di essere evidenziato – come, del resto, lo stesso DEF annota a commento della scelta di intervenire per disinnescare “un corposo aumento dell’IVA e delle accise sui carburanti a gennaio 2021” – che l’inasprimento delle “aliquote provocherebbe un abbassamento della crescita del PIL reale rispetto ad uno scenario di invarianza delle imposte pari ad almeno 0,4 punti percentuali secondo le consuete stime ottenute con il modello ITEM”. A legislazione vigente – si precisa in nota – si produrrebbe, infatti, un gettito aggiuntivo di entrate tributarie “pari all’1,1 per cento del PIL nel 2021 e ad un ulteriore 0,3 per cento nel 2022”.
La scelta della soppressione degli aumenti di IVA ed accise gioverà all’auspicata intonazione espansiva della politica fiscale “sia pure nei limiti di una gestione oculata della finanza pubblica”. Come si ricorda nella Relazione al Parlamento, il superamento delle clausole di salvaguardia rafforza, peraltro, trasparenza e credibilità delle previsioni di finanza pubblica.
Gli interventi in materia di soppressione di aumenti dell’IVA e delle accise e l’incremento del bonus da 80 euro mensili a 100 euro per ridurre il cuneo fiscale dovrebbero determinare – secondo quanto annota il DEF – una modesta riduzione della pressione fiscale nel 2020 (41,8 per cento) rispetto al 2019 (41,9 per cento). La riduzione si accentuerebbe nel 2021, con una pressione fiscale attesa pari al 41,4 per cento.
I consumi
Le previsioni circa l’andamento dei consumi privati segnalano una caduta del 7,2 per cento nel 2020, seguita da un più 4 per cento nel 2021. Va sottolineato, al riguardo, che – pur nella prospettiva di minori vincoli e restrizioni in termini di attività consentite e di misure di distanziamento sociale precauzionale – le diminuzioni di reddito e di ricchezza, già verificatesi e prospettiche, influiranno pesantemente e strutturalmente, al pari dei cambiamenti dei comportamenti dei consumatori, sulla ripresa dei consumi e, dunque, anche sulle aspettative delle imprese e sui piani di produzione dell’offerta.
Crisi di liquidità: indennizzi e contributi a fondo perduto, garanzie e credito
Tale considerazione ha come suo corollario, sul terreno della strategia di contrasto degli effetti recessivi dell’emergenza COVID-19, il riconoscimento dell’esigenza pressante di un maggiore affidamento agli strumenti degli indennizzi e dei contributi a fondo perduto a titolo di ristoro dei danni registrati dalle attività produttive per la caduta di fatturati e ricavi ingenerata dall’impatto economico e sociale dell’epidemia. Dunque, un affidamento per il riassorbimento di perdite di reddito anche con il ricorso a maggiore debito pubblico. Si integrerebbe così la risposta alla crisi di liquidità delle imprese incentrata sugli effetti leva delle garanzie per l’accesso al credito.
Per la costruzione della rete delle garanzie, sono state fin qui appostate risorse per circa 3 miliardi di euro. Con il prossimo e già ricordato provvedimento urgente, una dotazione di circa 30 miliardi dovrebbe consentire, attraverso l’intervento di SACE SpA, di attivare un ombrello di garanzie fino a circa 400 miliardi di euro. Il debutto operativo del “decreto liquidità” evidenzia, intanto, i punti critici della costruzione di un’efficace rete delle garanzie quale via per un tempestivo accesso al credito.
Resoconti e dibattito segnalano, anzitutto, le esigenze di radicali semplificazioni istruttorie, di un deciso innalzamento del livello massimo dei prestiti assistibili da garanzia al 100 per cento 4 e di valorizzazione dell’esperienza dei consorzi fidi, di un orizzonte temporale di rimborso dei prestiti ben più ampio dei 6 anni fin qui previsti.
Al netto di questi attesi ed imprescindibili miglioramenti delle misure recate dal “decreto liquidità”, resta, comunque, pienamente confermata l’urgenza della costruzione di indennizzi a titolo di ristoro anche per far sì che il fardello dei prestiti richiesti non divenga, per i privati, il macigno del debito. Dunque, è necessario che le misure recate dall’annunciato ed atteso ulteriore provvedimento urgente di aprile risultino coerenti con l’obiettivo sinteticamente richiamato nel DEF attraverso la formula del rifinanziamento e dell’estensione dei sostegni “ai redditi dei lavoratori e degli imprenditori più colpiti dalla crisi, all’occupazione, alla liquidità delle imprese e all’erogazione di credito all’economia”. Coerenti con questo obiettivo e con quanto richiamato dal Ministro Gualtieri in una recentissima intervista: “…è necessario attivare un corposo sostegno alle imprese, aiutandone la capitalizzazione e contribuendo ad assorbirne le perdite con strumenti specifici tarati sulle loro diverse dimensioni”.
Il “passaggio stretto”
Si tratta, certo, di un “passaggio stretto”. Perché “l’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche – ricorda il DEF – quest’anno salirà al 10,4 per cento del PIL, mentre il debito pubblico raggiungerà il livello più alto della storia repubblicana, il 155,7 per cento del PIL”. D’altra parte, è certo che occorre fare di più: tanto rispetto agli interventi del decreto “Cura Italia” (1,2 per cento del PIL per il 2020), quanto rispetto al nuovo intervento da 55 miliardi (3,3 per cento del PIL per il 2020).
Basti pensare – procedendo per esempi – alle esigenze in materia di supporto al pagamento dei canoni per locazioni commerciali o di misure di ristoro e di impulso fiscale per il turismo o di interventi a contrasto della crisi di liquidità per il sistema dei trasporti e della logistica. O, ancora, alle esigenze di più congrue ed inclusive moratorie fiscali e di corretti tempi di pagamento da parte delle pubbliche amministrazioni, così come a quelle di rifinanziamento e prosecuzione degli ammortizzatori sociali per il lavoro dipendente e di rifinanziamento e prosecuzione, ma anche di rafforzamento ed inclusività delle indennità per il lavoro autonomo e per il mondo ampio delle professioni.
Si confermano, pertanto, decisive le modalità e le tempistiche di effettiva attivazione “di innovativi strumenti europei – annota il DEF – che possano assicurare una risposta adeguata della politica di bilancio alla luce della gravità della crisi e, al contempo, migliorare le prospettive di crescita di lungo termine e migliorare la sostenibilità delle finanze pubbliche dei paesi membri”.
E parimenti decisivo sarà il modo in cui coerentemente e concretamente si declineranno politiche e misure dedicate al rafforzamento del nesso tra rientro e sostenibilità del debito pubblico e riforme a sostegno della crescita. Coerenza e concretezza imprescindibili sia per il contenimento del costo del servizio del debito pubblico, sia – anche sulla scorta della lezione delle recessioni del 2008-2009 e del 2012-2013 e tenendo conto di una variazione media annua del PIL pari, per il periodo 2014-2019, allo 0,8 per cento – per un più celere conseguimento dell’obiettivo del recupero di maggiori livelli di ricchezza e di benessere.
Verso il Programma nazionale di Riforma
Si apre qui l’agenda delle riforme necessarie e della loro articolazione nel disegno del PNR che verrà. Dalla revisione delle scelte in materia di restringimento dell’agibilità dei contratti a termine e del lavoro occasionale alle scelte nuove da operare per la riduzione del cuneo fiscale e contributivo sul costo del lavoro. Fino alla soluzione della questione di lungo corso della riconfigurazione della spesa sociale a vantaggio di più robuste politiche attive.
Dalla riduzione del “cuneo burocratico” – per via di una semplificazione che sia occasione non di de-regolazione, ma di nuova regolazione orientata all’innovazione ed alla crescita – all’effettività di una spending review finalizzata a sospingere buoni investimenti pubblici e privati: in conoscenza, ricerca e salute; in innovazione, digitalizzazione ed infrastrutture; in progetti di ridisegno intelligente e sostenibile del tessuto urbano.
Dal riordino del sistema fiscale in un’ottica di progressiva riduzione della pressione complessiva e di accorta azione selettiva di contrasto e recupero dell’evasione e dell’elusione ad un Green new deal che assuma compiutamente una dimensione europea e che punti sull’impulso delle incentivazioni piuttosto che sull’intervento delle imposte ambientali in una chiave di sostenibilità non solo ambientale, ma anche economica e sociale. Fino alle scelte in materia di web tax ed a quelle per “riconnettere l’Italia” del dopo COVID-19, cercando di promuovere lo sviluppo attraverso la leva dell’accessibilità territoriale ed una promozione del Made in Italy e dell’italian way of life fondata sulla resilienza dei loro valori di lungo corso (qualità, innovazione, servizio).
I numeri del DEF
Il documento programmatico del Governo sottolinea come “l’arresto delle attività e le misure di distanziamento sociale abbiano prodotto un impatto estremamente forte soprattutto sul settore dei servizi ed in particolare su quelli rientranti negli ambiti del trasporto passeggeri (in primis il trasporto aereo), del turismo e delle attività ricreative, del commercio al dettaglio e di molti servizi alla persona. Dal lato della domanda, le stesse misure di distanziamento sociale stanno comportando un’inevitabile contrazione di alcune categorie di consumo, che potrebbe in parte continuare anche dopo il ripristino di condizioni di normalità a causa della diminuzione del reddito disponibile e di cambiamenti nei comportamenti dei consumatori. In ogni caso, i volumi di spesa non effettuata in questa fase potrebbero non essere pienamente recuperabili in futuro (ad esempio, le attività turistiche perse durante la primavera 2020)”. Quest’ultimo aspetto è di fondamentale importanza ed ancora non pienamente acquisito al dibattito politico-mediatico. Per adesso gli shock di domanda e di offerta si incrociano nell’ambito di relazioni vincolate esogenamente (restrizioni di legge). Quando i vincoli saranno allentati, opereranno dal lato della domanda, con riflessi sulle aspettative delle imprese e quindi sui piani di produzione della stessa offerta, (anche) l’effetto reddito e l’effetto ricchezza. Ciò costituisce il principale fattore di rischio di revisione al ribasso di tutte le previsioni degli istituti di ricerca pubblici e privati. E, al contempo, rende urgenti le misure di riassorbimento delle perdite di reddito in termini di maggiore debito pubblico. Dato l’insieme dei vincoli, sia dal lato delle risorse di bilancio, sia da quello degli innegabili effetti diretti della pandemia sul blocco delle attività produttive, sia ancora da quello della attuale fragilità dell’apparato di misurazione statistica che non può beneficiare degli abituali strumenti di rilevazione diretta sul campo a causa del distanziamento sociale, il contesto risulta estremamente incerto proprio per l’indisponibilità di dati quantitativi che possano offrire un’accurata misura delle prime conseguenze dello shock epidemiologico. Ne consegue che la previsione del quadro macroeconomico tendenziale delineata nel documento è costruita su uno scenario mensile derivante dagli indicatori congiunturali disponibili, al fine di cogliere il più accuratamente possibile gli sviluppi in corso. Nel complesso del 2020, viene stimato che l’economia registrerà una caduta del PIL reale di otto punti percentuali. Sul fronte della domanda interna, i consumi privati subiranno un forte calo nell’anno in corso (-7,2%), per effetto sia delle misure di contenimento sociale che per una riduzione del reddito disponibile. I consumi pubblici sono attesi in moderato aumento nel 2020 (+0,7%) e nel 2021 (+0,3%), anche in conseguenza della risposta alla crisi. Il contributo della domanda estera netta, dopo la flessione nell’anno in corso (-0,8%, a causa di una contrazione delle esportazioni più decisa rispetto a quella delle importazioni), tornerà positivo nel 2021 (+1,2%). Viene stimato un forte calo degli investimenti nel 2020 (-12,3%), rispetto ai quali l’impatto negativo della sospensione delle attività produttive è amplificato dalle condizioni di elevata incertezza e dal crollo di aspettative e fiducia. Dal lato dei prezzi, la contrazione della domanda interna unitamente al crollo del costo dei prodotti energetici dovrebbe determinare una flessione dello 0,2 per cento del deflatore dei consumi, favorendo così il potere d’acquisto delle famiglie. Il deflatore del PIL viene stimato, invece, pari all’1,0% per effetto principalmente della marcata flessione di quello delle importazioni, anch’esso condizionato dal trend del prezzo del petrolio e questo rappresenta un elemento positivo sotto il profilo del calcolo dell’indebitamento netto e del debito delle A.P. in rapporto al PIL. 6 Per quanto riguarda il mercato del lavoro, il documento governativo stima per l’anno in corso una contrazione dell’occupazione rilevata dalle forze di lavoro nettamente più contenuta, poco superiore al 2 per cento, grazie all’ingente ricorso agli ammortizzatori della Cassa Integrazione Straordinaria e soprattutto di quella in deroga, poiché resta formalmente salvaguardato il rapporto di lavoro tra dipendenti e aziende. Nettamente maggiore, invece, è la contrazione attesa per l’occupazione espressa in unità di lavoro equivalente (ULA) e per le ore lavorate, cioè per l’input di lavoro che effettivamente è impiegato nella funzione di produzione da cui deriva il PIL, che non tengono conto degli ammortizzatori, per le quali è prevista una riduzione rispettivamente del 6,5% e del 6,3%. Per il 2021 il DEF prospetta un parziale recupero del PIL reale pari a +4,7%, almeno in parte spiegato dal fatto che lo scenario tendenziale, comunque, incorporerebbe ancora l’innalzamento delle aliquote IVA previsto dalla normativa vigente a decorrere dal 1° gennaio 2021 e, dunque, il suo effetto depressivo sulla spesa delle famiglie. Nonostante il rimbalzo atteso nella seconda metà dell’anno in corso, il DEF prevede, tuttavia, che il PIL non recupererà pienamente il livello di fine 2019 nel prossimo anno. Lo scenario previsivo unicamente tendenziale del Governo conclude che “la crescita media del 2020 dipenderà non solo dall’intensità della caduta del prodotto nei mesi di marzo e aprile, ma anche dalla durata del periodo di blocco di molte attività produttive e da quanto rapidamente si tornerà alla normalità in Italia e nei Paesi nostri partner commerciali. Nel caso di un prolungarsi delle misure di contenimento molto restrittive, si determinerebbe una maggiore flessione dell’attività economica anche in maggio, con il conseguente aggravarsi della flessione del PIL attesa nel secondo quarto del 2020. In alternativa, o in aggiunta a questo, una recrudescenza dell’epidemia nei mesi autunnali causerebbe un’ulteriore perdita di prodotto e ritarderebbe la fase di ripresa prevista nello scenario tendenziale”. Gli scenari, dunque, appaiono non ancora univocamente delineati rispetto alla direzione e ai tempi della ripresa. Per quanto riguarda, infine, il finanziamento del nuovo debito, lo scenario realistico appare peggiore di quanto emerge dai toni del Documento. Appoggiandosi a una recente nota dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani (11 aprile 2020) e apportandovi le dovute correzioni conseguenti alle modificazioni di prospettiva economico-finanziaria tra la data di pubblicazione e la data odierna, il complesso delle risorse potenzialmente attivate e il rinnovo dei titoli in scadenza comporterebbe emissioni di titoli per 195 miliardi di euro nel corso del 2020, avendo già considerato acquisti di titoli della BCE per 224 miliardi, l’utilizzo del fondo SURE per 17 miliardi di euro e il ricorso al MES per 36 miliardi di euro. La condizione della finanza pubblica appare, pertanto, di eccezionale gravità e si suggerisce di seguirla con la massima attenzione perché la pressione mediatica può orientare il consenso dell’opinione pubblica, ma difficilmente modifica la percezione della dimensione del problema da parte degli investitori.
Gli interventi dell’Europa
Nel DEF si illustrano le diverse iniziative che la complessa macchina delle istituzioni europee ha predisposto per fronteggiare l’emergenza sanitaria COVID-19 e quelle su cui si sta lavorando: la stabilità dei conti economici del Paese dipenderà anche dagli accordi che si faranno in questa sede e dalla capacità di utilizzare i diversi interventi. La BCE con il Pandemic emergency purchase programme (Pepp) si è impegnata ad acquistare circa 200 miliardi di titoli di stato italiano entro l’anno (15 miliardi già acquistati in marzo), che si aggiungeranno agli oltre 400 miliardi di debito italiano che già detiene: questo permette al nostro sistema bancario di offrire maggiore liquidità a tassi più bassi.
Il Gruppo BEI ha impegnato risorse per potenziare il sostegno alle imprese con l’istituzione di un Fondo di garanzia europeo COVID-19 da 25 miliardi, che erogherà risorse supplementari fino a raggiungere i 200 miliardi, con focus sulle PMI. Il Fondo sarà avviato dopo l’impegno di stati membri che rappresentano almeno il 60% del capitale: si ha così un meccanismo di garanzie mutue che, per la partecipazione dei Paesi meno indebitati, permette prestiti a tassi più vantaggiosi sul mercato internazionale. Precedentemente la BEI aveva avviato un programma di sostegno all’economia reale per sbloccare fino a 40 miliardi di finanziamenti alle PMI e mid-caps sotto forma di concessioni di scoperto in c/c, linee di credito, prestiti ponte e prestiti alle imprese per esigenze operative. La Commissione ha messo a disposizione 1 miliardo dei programmi COSME e Innovfin a garanzia del Fondo europeo per gli investimenti (FEI), allo scopo di incentivare le banche ad offrire accesso a finanziamenti ponte a microimprese, PMI e piccole imprese a media capitalizzazione, per un ammontare di risorse pari a circa 8 miliardi. Con i Coronavirus Response Investment Initiative (CRII ,CRII+) l’UE ha deciso di supportare il sistema sanitario e la liquidità alle PMI, prevedendo la riprogrammazione dei Fondi strutturali, con grande flessibilità tra obiettivi e territori. E’ in corso il confronto tra Governo e Regioni per un accordo sui Fondi Fesr e Fse, che dovrebbe riguardare il 20% del valore dei programmi. Il Consiglio dei Ministri europei dell’economia e finanza (ECOFIN) ha autorizzato gli Stati a ricorrere a maggiore flessibilità di bilancio: questo consente agli Stati Membri di “deviare temporaneamente dal percorso di aggiustamento verso l’obiettivo di medio termine e a quelli in disavanzo eccessivo di rivedere il percorso di rientro del rapporto deficit/PIL al di sotto della soglia del 3 per cento”. Consentita anche flessibilità nella disciplina per gli aiuti di stato: eccezionalmente i Paesi membri possono istituire regimi per concedere fino a 800 000 € a un’impresa che deve far fronte a urgenti esigenze in materia di liquidità. Proposta poi l’istituzione di SURE (Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency), che consentirà di erogare prestiti agli Stati per coprire i regimi di riduzione dell’orario lavorativo per i dipendenti, “nonché di misure analoghe per i lavoratori autonomi”, e dei Recovery fund, per sostenere la ripresa dei Paesi, nell’ambito del piano finanziario pluriennale della UE. Su entrambi la Commissione sta elaborando le proposte.